Imparare dalle piante spontanee
Ho una grande nostalgia del verde, ora che le giornate si susseguono piovose e grigie, anche metaforicamente, a causa della situazione non facile e delle restrizioni imposte, a volte difficili da comprendere. Ognuno ha il proprio modo di riorganizzare i pensieri e scaricare le ansie; quello che preferisco è senz’altro camminare, senza meta, meglio se sono circondata da alberi, foglie e piante che puntualmente attirano la mia curiosità: devo guardarle, devo toccarle, devo annusarle. Qualche volta mi porto a casa fiori, foglie, legnetti e bacche.
Cosicché, esplorazione dopo esplorazione, ho imparato a riconoscerne qualcuna, di cui incredibilmente ricordo anche la classificazione linnea, nonostante io sia abbastanza “smemorina”!
Tra quelle che ho imparato a riconoscere c’è l’ortica, una pianta che si fa sentire non senza qualche conseguenza spiacevole. Sicuramente tutti ne avranno fatto esperienza prima o poi. A chi non è mai capitato, al ritorno da una scampagnata, di ritrovarsi gambe e braccia colpite da rossore ed un insopportabile prurito?
Orticaria… causata proprio dall’ortica.
Un autodifesa antipatica
Il botanico svedese Linneo, nel 1753 nel suo Species Plantarum, raggruppò sotto il nome Urtica un centinaio di erbe della famiglia delle Urticacee: si tratta di piante che bruciano dolorosamente al contatto, poiché la peluria che ricopre le foglie rilascia un liquido irritante, composto da istamina e altre sostanze.
Il nome deriva dal verbo latino uro – uro, is, ussi, ustum, ere – significa appunto “brucio”).
Una vera e propria strategia di difesa la sua, che la tiene al riparo da chi, per esempio, se la vorrebbe portar via e farne un risotto.
Una pessima fama
Come pianta, quindi, non si è conquistata una buona reputazione. Ne è una dimostrazione il modo di dire “buttare alle ortiche” che sta a significare abbandonare definitivamente qualcosa, senza alcuna possibilità di tornare indietro. Provate voi a recuperare qualcosa in un campo di ortiche!
Però Victor Hugo ne “I miserabili” paragona questa pianta all’essere umano: “non ci sono né cattive erbe, né cattivi uomini. Non ci sono che cattivi coltivatori.”
Aggressività manifesta
Dicevo all’inizio che avrei proprio bisogno di camminare su sentieri naturali o costeggiando i campi coltivati e ora non mi è molto possibile. E come me, tante persone devono fare i conti con nervosismo e insofferenza che sono all’ordine del giorno, costrette a restare chiuse in casa o, quantomeno, a ridurre al minimo le uscite e l’interazione sociale, filtrata da svariati modelli di mascherine che nascondono le espressioni facciali e i sorrisi. Le distanze complicano inesorabilmente la comunicazione e bisogna fare uno sforzo in più per farsi capire e comprendere l’altro.
In questa condizione di frustrazione è ancora più facile imbattersi sui social nei leoni da tastiera – e questo vale sia per i profili personali che per quelli professionali – che vomitano senza filtri la loro aggressività.
In più se siamo dei professionisti che usano i social media o che li gestiscono per enti o aziende come me, minano il lavoro che abbiamo perseguito fino a quel momento con attacchi immotivati e violenti, che hanno il solo scopo di ferire l’altro.
Nessuno è esente da questo fenomeno, perché quotidianamente ci esponiamo sui social, nelle email, per telefono.
La lezione dell’ortica
Ho riflettuto molto su questo e sulla lezione che mi ha dato l’ortica, che per riconoscerla, le prime volte, l’ho toccata, mio malgrado, pagando l’avventato gesto con un insopportabile prurito che mi è durato per una buona mezz’ora. Certo il prezzo da pagare è fastidioso, ma se non l’avessi fatto ora non saprei riconoscere un’ortica da una lamia che le assomiglia un po’, anche senza toccarla.
Ho imparato che bisogna trattarla con garbo, con le dovute accortezze, indossando dei guanti per neutralizzare la sua strategia di difesa. Per questo bisogna imparare ad averci a che fare: diventa urticante solo quando sei tu ad attaccarla. Poi bisogna raccoglierla con buon senso, come tutte le piante, senza strafare, usando solo quello che ci serve davvero.
E, ancora, ho imparato che “ci sono solo cattivi coltivatori” e che in tutto c’è bisogno di trovare un equilibrio, anche per i sentimenti negativi nostri e altrui: con pazienza e costanza bisogna dissodare le zolle fatte di parole aggressive e sgretolarle perché il terreno possa dare un buon raccolto.
Rispondere con gentilezza
Vale sui social ma anche nella vita: ai commenti feroci si risponde con garbo ma con fermezza adottando una comunicazione assertiva. Che significa? Significa esprimere se stessi e far valere il proprio punto di vista rispettando le idee ed i diritti degli altri. Tale stile ci permette di confrontarci serenamente con gli altri e di riportare ad un livello di comunicazione efficace anche quelle conversazioni che iniziano con il piede (sbagliato) dell’aggressività.
La maggior parte delle volte, e lo dico per esperienza, i leoni diventano micetti.
E se insistono… don’t feed the troll.
(Ve lo spiego alla prossima lezione botanica!)